From Felice Cicaterri to Giovanni Roothaan 28/5/1845

Molto reverendo in Cristo Padre

Non si maravigli Vostra Paternità se le vengo dinanzi con queste scritta piuttostochè in persona. Non è difetto di confidenza che cosi mi consiglia, ma il pensiero che più liberamente le potrò esporre quel che si passa nel mio animo, e lasciarle sott’occhio le ragioni che attendono la maturità del suo giudizio. Sarò breve per non abusare il so tempo, e la sua bontà. Quando piacque al Signore per sua infinita misericordia chiamarmi alla Compagnia (io non la conosceva, ne sapeva punto delle sue leggi e delle sue consetudini) non aveva altra trama che delle missioni, e vidi in essa solo il mezzo di poter soddisfare al desiderio, che Dio mi dava. Se mi avessero ricusato (e ben lo temeva) mi sarei volto a SS. Della Missione solamente perché il titolo mi invaghiva come tutto confacevole [sic] à miei voti. Messo ad una verga di ferrosotto una dura educazione, e bramoso di venire a Dio nella Compagnia mi adattai facilmente a quanto da me si volle, e presi a far la scuola prima ancora di finire il noviziato. Ma le confesso che ho dovuto più volte ringraziare il Signore che non m’abbia fatto prima conoscere questo ministero che doveva occuparmi quindici anni lontano da ciò che io maggiormente bramava; chè io per fermo non mi sarei determinato giammai a chieder questo grandissimo benefizio della Compagnia, dalla quale dopo Dio tutto riconosco, e per la quale sento ogni dì meglio crescermi la stima, l’affetto e il desiderio di consacrarle le mie fatiche, e la mia vita. Fra le brighe della scuola però non mai tacque in me il desiderio delle missioni, ed attendeva il tempo del sacerdozio sperando dal Signore tanta grazia per mezzo de’ miei superiori. Nel decembre del 32 primo anno di miei studi teologici presentai a Vostra paternità una supplica per essere tra gli eletti alle missioni straniere, e n’ebbi solo buone promesse, che Dio non volle per me effettuate. Mi confortava intanto che nel terzo anno di probazione avrei potuto iniziarmi nel santo ministero delle missioni italiane, per le quali mi sentiva desiderio oltremodo grandissimo, e qualche speranza che vi sarei destinato. Ma quell'anno per me non venne, e tutto svani. L’obbedienza mi ricacciò nelle scuole; ed io vedendo che aveva demeritato la grazia bramata, e che Dio mi voleva all'uffizio dell’insegnare, mi gittai a tutt’uomo nelle lettere per corrispondere almeno da questo lato quel meglio che avessi potuto alle premure della Compagnia, né saprei con qual mio ed’altrui vantaggio. Tuttavia non ho mai lasciato di manifestare a ‘ Superiori il mio primo desiderio, che non era spento, quantunque non abbia fatto in alcun tempo istanza per essere rimosso dalla scuola per noia ch’io ne avessi. chè questa stanchezza di scegliere e ricusar ministeri a mio talento non mi è mai entrata nell'animo, perché contraria al mio naturale , alla educazione, avuta da fanciullo e ( debbo confessarlo) all'amore proprio che cercava dall'ubbidienza il suffragio alla vanità di un felice riuscimento. Da ultimo, come a Dio piacque fui destinato alla predicazione. Abbracciai questo ministero da prima con trepidazione perche messovi alla sprovvista, e innanzi un pubblico che già mi conosceva (e ciò era superbia) ; appresso con entusiasmo, specialmente quando cominciai a parlar dal palco; perché parevami esser già in parte esaudito ne’ miei voti, e vedevami consolato di alcun successo. Ma il pulpito, l’idea di eloquenza, l’abitudine de’ miei studi, ed altro che io tralascio forse mi hanno tratto in errore, hanno palpato il mio orgoglio, ma , lo protesto, non mi hanno giammai tolto di veduta il fine. Dio mi ha voluto a Roma per premermi sotto il torchio delle umiliazioni; e ne avea bisogno. Ne sa benedetto chi si piacque ammaestrarmi a questa scuola, e voglia pur che con frutto. Mentirei, se dicessi di non sentirne tutta l’amarezza. La quale nasce specialmente dal vedermi inetto a cooperare al buono nome della Compagna, alla quale vorrei pure render miglior servigio; dal disgusto che debbono risentirne i miei Superiori, che veggon tradite le loro speranze dopo la molta carità che mi hanno sempre usata; dal timore di rimorsi che potrebbero funestarmi le agonie per aver male amministrato la divina parola. In cotal mezzo io ne ho paura questo vantaggio, che sento ogni giorno meglio crescermi il desiderio antico di darmi alle missioni. Non parlo delle straniere; che l’età mia è forse troppo avanzata per apprendere con facilità, e trattare speditamente un nuovo linguaggio. Quando ciò non mi facesse ostacolo, le rammenterei colle più calde istanze l’antica promessa. Ma questa è tra grazia che io non oso sperare. Quello che ora con tutta la effusione nel mio cuore, e con ogni modo di preghiera dimando alla Paternità Vostra è il santo ministero delle missioni italiane. La supplicarla di un tal favore ho sentito di questi giorni specialmente qual che maggiore stimolo, sì che mi sono fatto animo a porgerne supplica prima che si compia la novena de Sacro Cuore di Gesù. Sento bene che a tal uffizio in me non si trova tutta la necessaria attitudine. Ma Dio che me lo ispira non mi darà grazia di riuscirvi in qualche modo? e poi io non chieggo altro, che sì esser dato compagno a qualche missionario veterano, come [..] al Padre Melia, il quale mi eserciti nelle parti secondarie, mi dirigga, mi corregga, e si aiuti di me al sollevarsi il soverbio delle fatiche. La necessita di un parlar più libero e disinvolto, in un ministero deve sparire ogni esigenza di coltura, a’ popoli che dal missionario attendono la semplice parola del vangelo, che illumina, e scuote, mi divezzerà, ne son certo, dalla trista abitudine contratta ne’ mie studi, e che in me si biasima e si riprende. La Compagnia ne avrebbe forse me mio servigio, ed io me ne troverei più quieto nelle cosciena [sic]. Le ho esposto di questo mio desiderio la storia, e le ragioni, ho fatto da canto mio quel che doveva per ridirlo, ad effetto, ne sarò colpevole dinanzi a Dio di non averlo manifestato. Ora lascio alla Paternità Vostra che disponga di me come meglio crederà nel Signore, assicurandola con tutta sincerità, che fermo ogni sforzo per ubbidirla, in quello che vorrà comandarmi, voglia o no compiacermi nella mia richiesta. Sono in unione de SS. SS.SS.

Di Vostra Paternità Molto Reverenda.

Dalla Casa Professa Romana 28 Maggio 1845

Infimo in Cristo Nostro

Felice Cicaterri della. Compagnia di Gesù

[MS] Archivio Storico della Compagnia di Gesù, Ait 2, f. 662, recto e verso

Letter information

From Felice Cicaterri, in Casa Professa Romana to Giovanni Roothaan, Preposito Generale in Roma;

28/5/1845

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«preferisce per motivi di età le missioni italiane»

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